CORONAVIRUS – Restauratori: “Incomprensibile rinvio apertura. Imprese restauro valutate a basso rischio da INAIL: nostra unica colpa avere codice ATECO che non ci rappresenta”
Artigianato Artistico“I restauratori hanno meno contatti rispetto ad un edile o ad una qualsiasi altra attività autorizzata, eppure continuano a rimanere sospesi”. Una levata di scudi, non antichi ma di assoluta e drammatica attualità, che la categoria lamenta a seguito della pubblicazione del Dpcm 26 aprile 2020, nel quale le imprese di restauro e restauro beni culturali, che genericamente possiedono codice Ateco principale 90.03.02, sono state tagliate fuori dall’allentamento del cosiddetto “lockdown” a partire dal prossimo 4 maggio.
“Una situazione paradossale – denuncia Andrea Bissoli, Presidente della categoria Artigianato Artistico di Confartigianato Imprese Verona –, che va contro non solo al buon senso, ma purtroppo anche della logica. L’attività di restauro si svolge, prevalentemente, nei cantieri o nel chiuso dei laboratori, dove, nel primo caso vengono autorizzate ad entrare e a tornare ad operare le imprese dell’Edilizia, mentre nel secondo caso non esiste possibilità di venire in contatto con il pubblico. Per di più, le imprese di restauro artigiane contano la contemporanea presenza al lavoro del titolare e di solo qualche addetto o collaboratore, che, con tutta evidenza, hanno ogni possibilità di mettere in atto le precauzioni sanitarie dettate dai protocolli di sicurezza. Quale maggiore rischio di diffusione del Covid-19 possono avere rispetto ad altre attività autorizzate alla ripresa del lavoro, come ad esempio industrie e imprese edili? Ma si rendono conto i tecnici del governo che i restauratori, per fare un esempio, applicano il contratto nazionale di lavoro dell’Edilizia, che dal 4 aprile riparte, mentre loro sono costretti a rimanere fermi?”.
Il settore del restauro è un arcipelago complesso: i soggetti qualificati ufficialmente che possono intervenire nel recupero del patrimonio artistico/culturale sono i più penalizzati, perché intervengono, magari su un affresco, quindi dentro un cantiere aperto, mentre i colleghi restauratori che operano sui mobili, o sugli infissi del medesimo edificio in restauro, possono lavorare.
Il dubbio che si tratti di un problema di superficialità nell’analisi dei codici Ateco da parte della Commissione Tecnico Scientifica incaricata è più che un’ipotesi.
“Approssimazione o meno – continua Bissoli –, rimane il fatto che le imprese del restauro non potranno riaprire e, sinceramente, tutto ciò è incredibile e inaccettabile. Nessuna attenzione è stata dedicata alle specificità lavorative delle attività, ma ci si è basati sull’individuazione di un’alta pericolosità di contagio per tutte le imprese rientranti nella codifica Ateco 90, che ricomprende tutte le attività legate allo spettacolo e alla cultura, della quale, purtroppo, fanno parte anche i restauratori. Nessuno si è ricordato del fatto che, per quanto riguarda la sicurezza nei luoghi di lavoro, l’attività di restauro è stata classificata a rischio medio basso dal documento tecnico recentemente pubblicato dall’Inail”.
Confartigianato Imprese ha segnalato la questione al governo e chiesto chiarimenti in merito alla riapertura delle aziende di restauro, proprio perché il codice Istat non è contemplato nel Dpcm. A dar man forte la posizione dell’Assessore regionale al Lavoro Elena Donazzan, che ha affermato: “L’attività del restauratore è equiparabile a quella dei cantieri edili, e al tempo stesso, per la sua stessa tipologia, è sicuramente a minor rischio di contagio rispetto a molte altre attività per le quali è stata consentita la riapertura”.
“Quando si incappa in un errore così grossolano – continua Donazzan – si comprende che l’intero impianto del Dpcm andrebbe cambiato oggi stesso: il settore del restauro è tra i più nobili e strutturati del grande comparto dell’edilizia e merita un intervento immediato per porre rimedio a questa discriminazione”.
“Tutti noi ci siamo impegnati – conclude il Presidente provinciale di categoria –, pensando di far parte di una grande comunità di imprenditori e persone responsabili, rimettendoci del nostro e chiedendo immani sacrifici ai nostri dipendenti e alle loro famiglie, ma purtroppo ci siamo accorti che la ‘grande comunità’ è stata smantellata da scelte tecnico-politiche senza criterio. Chiediamo con forza un intervento di modifica del Dpcm del 26 aprile, così da correggere quello che vogliamo continuare a sperare sia solo un errore. Le imprese di restauro e i loro dipendenti, dopo più di due mesi di chiusura forzata, non hanno più tempo: o si torna a lavorare o il settore sarà letteralmente devastato. Il Ministero dei Beni Culturali ha confermato che affronterà il tema e quindi attendiamo una risposta quanto prima”.
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