Storia dell’Associazione

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La prima tessera “ufficiosa” del 1945

 

La prima tessera ufficiale dopo la fondazione del 1946

 

19 marzo 1946

è questa la data, il giorno in cui venne siglato l’atto costitutivo per la creazione dell’Unione Provinciale Artigiani.

La realtà, come tutti ben sanno, è che l’UPA nacque ufficiosamente un anno prima, nel maggio del 1945, a seguito dei primi manifesti pubblicati dal Governo Militare Alleato, subito dopo la liberazione, contenenti norme in materia sindacale, tra le quali quella relativa “allo scioglimento ed alla liquidazione di tutte le organizzazioni sindacali fasciste”. (foto: prima tessera 1945, si trova nel quadro che raccoglie le tessere UPA nella saletta riunioni)

La cessazione dell’obbligatorietà dell’iscrizione e del versamento dei relativi contributi all’Organizzazione sindacale littoria, a cui fece seguito la chiara posizione assunta dai vari Comitati provinciali di Liberazione Nazionale di appoggio alle libere iniziative dei gruppi di artigiani che si stavano organizzando, consentì in pratica l’inizio dell’attività in forma di libera associazione.

Il primo incontro informale tra artigiani volenterosi, alcuni dei quali già dirigenti dell’Associazione Nazionale Fascista, non avvenne in qualche curata sala riunioni, ma sui tavoli della Bottega del Vino, l’osteria in via Scudo di Francia, una traversa di via Mazzini. Lì, tra un bicchiere di vino e qualche uovo sodo, si iniziò a pensare di “ricominciare”. Cinque o sei artigiani, tra i quali Riccardo Arduini e Fausto Tommasoli, chiacchierando del più e del meno, avevano ipotizzato di affrontare il dopoguerra cercando di darsi una mano l’un con l’altro. Da quel pensiero alla costituzione di una vera e propria associazione il passo fu breve.

Quasi contestualmente alla riunione alla Bottega del Vino, un secondo gruppo di artigiani si incontro, sempre in via informale, all’osteria “Siora Melia”, di vicoletto Sgarzeria. Tra loro Antonio Bazzan e il padre di Sandro Perobelli, che successivamente fu per lungo tempo presidente dell’Unione.

Si conoscevano tutti tra loro, erano amici, e proprio quei primi incontri, tra discussioni animate, pugni sbattuti sulle assi dei tavoli, qualche bicchiere di buon vino delle colline veronesi e tanta voglia di ripartire, sancirono anche un’altra volontà: quella di riunire i vari gruppetti di artigiani volenterosi per arrivare alla deliberazione storica di creare l’Unione Provinciale Artigiani.

Gli iscritti, dapprima, nel 1945, qualche decina, dopo pochi mesi qualche centinaia, si recavano, per le proprie esigenze primarie di artigiani e per chiedere se tale o talaltro problema potesse essere risolto, presso la sede dell’Unione, ospitata in alcune anguste stanze di un vecchio edificio affacciato su Piazza Bra: Palazzo Barbaro, con ingresso in via Dietro Listone. Il mobilio degli uffici fu recuperato, per concessione del Comitato di Liberazione Nazionale di Verona, dalla sede dell’associazione artigiana fascista, mentre quello che mancava veniva costruito dagli artigiani stessi. Bazzan fornì la sede di un paio di stufette elettriche, mentre Bernardi si occupò di rifare ex novo l’impianto elettrico.

La prima Assemblea della neonata associazione ebbe luogo nel 1945: alcune decine di artigiani si radunarono nel saloncino di Palazzo Orti Manara, in Stradone Porta Palio, gentilmente concesso dal conte Marcello Orti Manara. La decisione più importante fu quella di dar vita ufficialmente all’UPA, con la stampa delle prime tessere.

Una seconda Assemblea, invece, si svolse a cavallo tra il 1945 e il 1946, sempre presso Palazzo Orti Manara, ma questa volta nella sala grande, perché gli artigiani presenti erano oltre una cinquantina.

Enormi i travagli, le difficoltà, le ansie ma anche le speranze di quei tempi. L’Italia appena uscita dal terribile periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale stava iniziando il duro cammino della ricostruzione, che nel volgere di pochi anni la portò alle soglie di quello che ancora oggi si ricorda come il “miracolo economico”; il referendum istituzionale, indetto per il 2 giugno 1946, non aveva ancora sancito la partenza del regime repubblicano; la Carta Costituzionale era già nella mente dei Legislatori che sognavano un’Italia libera e democratica, che intendevano porre nella prima Legge dello Stato la più sicura garanzia contro il pericolo di un ritorno al passato.

Il 19 marzo 1946 i fondatori si ritrovarono davanti al notaio dottor Alessandro Valdettaro, nella sala riunioni dell’Associazione Commercianti in via Oberdan, per firmare il foglio dattiloscritto dell’atto costitutivo. La quota di adesione al sindacato era di 100 lire.

Tra i presenti Riccardo Arduini, Mario Bernardi, Mario Simeoni, Giuseppe Fenzii, Guido Tonini, Bruno Sometti, Enrico Zardini, Virgilio Zambetta, Vittorio Zardini, Gaetano Girardi, Adolfo Dal Grosso, Alcibiade Marocco, Alfonso Pancirolli, Marcello Biondani, Urbano Sarcheletti e Arturo Bompiani.

Cominciò così a farsi strada lo spirito associativo. Gli artigiani si riscoprirono una realtà viva e operante, in grado di dare un grande contributo alla rinascita del Paese. Logicamente non se ne rendevano conto in molti: a quel tempo bisognava rispondere a bisogni reali, contingenti, fondamentali, che se come cittadini potevano addirittura essere la ricerca del pane nero da mettere sotto i denti, come artigiani era il trovare una punta per il trapano, una mola per le lame, il sapone per radere i clienti.

L’UPA iniziò a muovere i primi passi proprio in questa direzione, tenendo fede, sin dal principio, al dettato dell’Atto Costitutivo che così recita: “E’ costituita l’Unione provinciale artigiani della provincia di Verona, quale organizzazione economica e sindacale per la tutela degli interesse della categoria e dei singoli associati”.

Ma i tempi erano difficili, come grandi e insormontabili apparivano le difficoltà del Paese. Ma gli artigiani non intendevano assolutamente mollare, i lavoro c’era, la voglia di impegnarvisi anche. Si riaprirono le botteghe, ritornarono gli antichi mestieri con in più quello spirito di libera impresa che fu sempre il filo conduttore del progredire della categoria sin dall’ingresso in città dei primi carri armati alleati.

Anche l’Unione si muove, seppur con fatica. Mancavano ancora i presupposti giuridici che mettessero ordine all’interno della categoria e nei riguardi del contesto sociale, in modo da rendere più efficace l’azione che, con i nuovi compiti e la crescita costante delle adesioni, tendevano a qualificare più precisamente hli aspetti di politica sindacale artigiana. I problemi emergenti erano quelli concreti, terra terra, delle categorie di mestiere e dei pochi prolungamenti territoriali che a quel tempo esistevano in provincia.

La prima Giunta Esecutiva dell’UPA, che diresse l’associazione in quegli anni pionieristici, nel biennio 1946-1948, era presieduta da Riccardo Arduini. Al suo fianco i Vicepresidenti Gianni Alberganti e Fausto Tommasoli, e i consiglieri: Cesare Antoniazzi, Mario Bernardi, Renato Brizzi, Giuseppe Fenzi, Arturo Filippi, Guido Jotti, Angelo Magnano, Gino Paiola e Mario Simeoni.

La nuova Costituzione entrò in vigore nel gennaio del 1948, mentre le associazioni come l’UPA, dapprima impegnate quasi unicamente nel rilascio dei buoni per la benzina, il carbone e i pneumatici per le biciclette e le pochissime auto, avvertivano la necessità, nel clima nuovo che stava nascendo, di incominciare ad inculcare nella mente di tutti che libertà non voleva dire licenza, che democrazia non significava disordine, ma l’una e l’altra significavano modo di vivere dove ognuno poteva esprime le proprie idee, apportare in forma democratica i propri intendimenti, sviluppare i problemi della categoria.

Servivano i mezzi per rimettere in piedi le aziende e per questo scopo furono presi accordi con i vari Enti istituzionali, con la Camera di Commercio, con gli organismi statunitensi che fornivano materiali vari. I primi servizi offerti agli associati dall’Unione riguardavano la contabilità, le licenze per ottenere materie prime, arnesi e attrezzature, e ci fu persino un primo e malriuscito tentativo di ottenere prestiti dalle banche, le quali al cospetto di scarse garanzie messe a disposizione costruirono un castello di difficoltà che l’UPA si rifiutò di scalare.

Nel 1948, mentre l’associazione prendeva corpo sia nella sua organizzazione interna che nel numero di soci, la Sala Borsa Vini e Cereali del Palazzo della Gran Guardia, concessa dal Comune, ospitò la riunione nella quale la Presidenza dell’UPA, dopo il mandato biennale di Riccardo Arduini, venne affidata a Gianni Alberganti. I vicepresidenti erano lo stesso Arduini e Walter Dalla Vecchia, mentre i membri del consiglio rimasero in pochi: Mario Bernardi, Renato Brizzi, Arturo Filippi e Fausto Tommasoli.