31 Gennaio 2020

BREXIT – Verona nella top ten dell’export verso il Regno Unito. Bissoli: “Timori per rischio che rispuntino i dazi e per tempi di sdoganamento”

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I timori per le conseguenze della Brexit stanno colpendo? A Verona, per il momento pare di no. La provincia scaligera, infatti, è nella “top ten” delle province italiane esportatrici verso il Regno Unito e anche in quella della dinamica dei primi nove mesi del 2019, con una crescita a doppia cifra. Nella classifica delle dieci esportatrici, al primo posto Milano con 1.451 milioni di euro (6,0% del totale), Treviso con 969 milioni di euro (4,0%), Modena con 966 milioni di euro (4,0%), Torino con 966 milioni di euro (4,0%), Bologna con 925 milioni di euro (3,8%), Vicenza con 918 milioni di euro (3,8%), Reggio Emilia con 764 milioni di euro (3,2%), Bergamo con 755 milioni di euro (3,1%), Verona con 746 milioni di euro (3,1%) e Brescia con 729 milioni di euro (3,0%).

Per quanto concerne la dinamica nei primi nove mesi del 2019, tra le principali province, ognuna con oltre 200 milioni di vendite nel paese, aumenti di rilievo per Bari (+88,0 %), Frosinone (+36,4%), Arezzo (+31,8%), Piacenza (+21,3%), Roma (+17,6%), Milano (+12,6%), Ravenna (+12,3%), Napoli (+11,9%), Verona (+10,8%) e Lucca (+10,2%).

Gli ultimi dati sul valore delle esportazioni manifatturiere verso il Regno Unito relativi ai dodici mesi tra IV trimestre 2018 e III trimestre 2019 indicano che la regione Veneto supera i 3,7 miliardi di euro di vendite. Si tratta del terzo valore più alto in valore assolto dietro a Lombardia (5,2 miliardi) ed Emilia-Romagna (4,5 miliardi), e in termini percentuali pesano il 15,3% di tutto l’export Italiano d’oltremanica.

“Le nostre esportazioni oltremanica reggono – afferma Andrea Bissoli, Presidente di Confartigianato Imprese Verona –, ma il timore, con la Brexit, è di doversi preparare ad aumenti del costo fiscale ed economico a carico delle nostre imprese dovuti a logistica, certificazioni, gestione delle merci, imposte dirette e indirette. Un costo in termini di carico tributario effettivo e ‘peso’ della compliance, per le imprese coinvolte che dovranno far fronte a una serie di problemi, al di là degli esiti del negoziato in partenza a febbraio”.

Alla mezzanotte di oggi, venerdì 31 gennaio infatti, il Regno Unito sarà formalmente fuori dall’Unione europea. Scatterà al contempo un periodo di transizione, che durerà fino al 31 dicembre 2020, nel corso del quale le due parti negozieranno quella che sarà la loro futura relazione. In questo periodo, sebbene uscito, il Regno Unito sarà ancora soggetto alle normative legate al mercato unico e quindi c’è ancora tempo per valutare azioni e contromisure a misura di MPI.

“Oltre alla preoccupazione diretta sui bilanci delle nostre imprese e sul nostro sistema economico – aggiunge Agostino Bonomo, Presidente di Confartigianato Imprese Veneto – l’uscita del Regno Unito lascerà un vuoto importante nella UE. Con la Brexit l’Unione europea ridimensiona infatti il proprio peso economico, perdendo 67,7 milioni di abitanti, il 13% dell’Ue a 28, e 2.506 miliardi di euro di Pil, pari al 15,3% dell’Ue. Usciranno 2 milioni 85 mila micro e piccole imprese, con 7 milioni e 439 mila addetti – pari al 10,5% del totale dell’Ue a 28 – che realizzavano 1.187 miliardi di euro di fatturato e 432 miliardi di valore aggiunto”.

Tornando ai numeri il made in Veneto verso il Regno Unito vale 3,7 miliardi negli ultimi dodici mesi (il 15,3% dei 24,9 miliardi del totale Italia), e risulta in salita del 5,4% rispetto ai dodici mesi precedenti, il ritmo più accentuato degli ultimi quattro anni. Il made in Italy destinato al Regno Unito rappresenta l’1,59% del valore aggiunto nazionale e la nostra regione è la seconda in Italia per esposizione con il 2,61% dopo l’Emilia-Romagna con il 3,24%. Seguono la Toscana con il 2,34%, l’Abruzzo con il 2,34%, il Friuli-Venezia Giulia con il 2,24% ed il Piemonte con il 2,13%.

Passando ai settori, i più performanti – e quindi più esposti a possibili problematiche post Brexit – sia in termini di crescita sia di valore, sono: Macchinari e apparecchiature nca (612 milioni di euro, +13,2% negli ultimi 12 mesi), Bevande (490 milioni di euro, + 2,6%), Articoli di abbigliamento (334 milioni di euro, +10,4%) e Articoli in pelle (301 milioni, +3,9%). Da soli rappresentano quasi il 50% delle nostre esportazioni. A livello provinciale infine si osserva un grado di esposizione doppio rispetto alla media nazionale per Belluno (4,10%), Treviso (3,83%) e Vicenza (3,60%).

“Vero che ci sarà tempo fino alla fine dell’anno – conclude Bissoli – ma quello che già preoccupa le imprese è principalmente la rinuncia al mercato unico e all’unione doganale. Ad oggi la principale incertezza è legata all’andamento dei negoziati dai quali non si può escludere che rispuntino i dazi sui prodotti scambiati tra Ue e Regno Unito. In particolare il settore più a rischio per le MPI potrebbe essere quello alimentare, che in provincia di Verona ha un peso determinante. Per loro le complicazioni dei costi si sommano a quelle sulle tempistiche, totalmente ignote, di sdoganamento della merce che potrebbero scontrarsi con la data di scadenza di molti prodotti”.